Cento, o quasi

Chiedetemi quante volte sono andato a Roma negli ultimi 40 mesi. Risposta: mai. Chiedetemi quante cose ho proposto per la Calabria: cento. O quasi”

venerdì 7 settembre 2018

il Pacchero d'Argento: le motivazioni della IX edizione (2018)


a Paride Leporace

Non vorremmo essere la memoria di Paride. Giornalista, cinefilo, da qualche anno direttore di una Film Commission, anzi di due. Ricorda tutto delle cose notevoli, degli avvenimenti, della storia patria, di un quartiere, di una città, di una regione. Anzi, di due. 

Stanziale e contemporaneamente nomade, tra Calabria e Lucania, tra Cosenza e Potenza, triangola con l'Argentina, patria della famiglia d'origine e con la Campania,"matria" della sua compagna Lucia. 
Non guida, non ha la patente, usa solo i mezzi pubblici e - qualche volta - i passaggi degli amici. Forse anche per questo trova il tempo di annotare, catalogare, archiviare. Ricorda scrittori, artisti, politici, attori, registi, direttori della fotografia, calciatori, tifoserie, 'ndranghetisti, magistrati uccisi. Questi ultimi: ventisei, anzi ventisette. Fatti, fattacci, fatti di 
costume, fattarielli, malaffare e belle storie. 
Di recente l'abbiamo scoperto scrittore di poesie. Ma non è un vezzo da adolescente tardivo. Anche quelle sono una mnemotecnica, un modo originale per cifrare, schedare, catalogare gli avvenimenti. Così selezionandone 100, in ordine cronologico, dal Vajont a Zanzotto, dal 68 ai boia chi molla, da Gianni Brera a Gianni Rivera, da Nelson Mandela al giudice Livatino, al cardinal Martini. 
Tutto dietro lo schermo di una domanda: “C’è poesia nei giornali?”. Il che vuol dire c’è poesia nel quotidiano? C’è poesia nelle nostre vite? C'è ancora possibilità di dire con forza, ritmo e passione?

Ecco, a Paride Leporace, insieme a questo Pacchero, consegnamo una rimozione forzata e prescriviamo una sana giornata di amnesia. 
Una sola per carità, al massimo due.



a Giovanni Bombardieri

Calabrese di Riace, 54 anni, in magistratura dal 1989, la gavetta l'ha fatta al Tribunale di Locri. Dal 2008 al 2012 è stato assegnato alla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Roma, poi procuratore aggiunto a Catanzaro, oggi è Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, succedendo a Federico Cafiero De Raho, attuale Procuratore nazionale antimafia. 
Nomine, quella sua e di Cafiero De Raho, che si devono all'unanimità del plenum del CSM. Segno che sul suo operato c'è concordia. 
Al contrario, qualche fondato motivo di dissidio e di preoccupazione si è già destato tra la criminalità ’ndranghetista dell'area jonica, e poi del vibonese, del cosentino e del territorio lametino. 
Solo tre giorni or sono vincitore, insieme a Roberto Saviano, della XIV edizione del premio Ambiente e Legalità istituito da Legambiente e Libera contro l’ecomafia e la criminalità. Dal rapporto Ecomafia 2018 di Legambiente, spiccano le 538 ordinanze di custodia cautelare emesse per reati ambientali nel 2017 (139,5% in più rispetto al 2016). Quante saranno quelle emesse da Bombardieri? Certamente più di cento. 

E' il caso di dire: tana per la legalità!   






a Vincenzo Bertolone

San Biagio Platani (provincia di Agrigento), classe 1946, ordinato sacerdote nel 1975 nella Congregazione dei Missionari Servi dei Poveri. Vescovo della diocesi di Cassano allo Jonio dal 2007 al 2011, è oggi arcivescovo dell'arcidiocesi di Catanzaro-Squillace.  Dal 2015 è Presidente della Conferenza episcopale calabra. Per usare un eufemismo, diciamo che Bertolone è uno che si fa sentire. Ha denunciato le organizzazioni mafiose affermando che gli uomini o le donne di mafia, camorra e 'ndrangheta devono essere collocati fuori dalla 
Chiesa. Con una postilla: "la 'ndrangheta è l'anti-Vangelo". 

Bertolone è postulatore della causa di beatificazione di don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993. Dunque è testimone del sacrificio, dell'impegno civile e di un assassinio di mafia "in odium fidei". Di un esempio di fede in Cristo, "vissuta con radicalità evangelica che non ammette compromessi, né prudenti silenzi". 

Coerentemente con una visione cristiana e un'etica creaturale si è già da tempo espresso a favore della donazione degli organi "atto di altruismo, pieno di umanità e generosità". 
Cosa può pensare un uomo così, uno che fa i conti con il cuore e gli altri organi vitali, con "gli intrusi" di cui la medicina contemporanea ci consente il trapianto, dei profughi che scappano dalle guerre e dalla fame? Con evidenza, anche se con impegno e silenzio, ha ben chiaro in mente il bisogno di ripristinare il volto umano della comunità.






a DOMENICO “Dodò” 
FRANCESCA e GIOVANNI GABRIELE

Era la sera del 25 giugno del 2009 quando due sicari irruppero sul campetto di calcio dove Dodò stava giocando a pallone, in contrada Margherita, alla periferia di Crotone. Obiettivo dell'azione ovviamente era un altro, un emergente della mala locale, che pure venne freddato. Ma i killer si misero a sparare all'impazzata e ferirono altre nove persone. Tra questi Dodò, di appena 11 anni, il quale morì tre mesi dopo. 

Non ci sono parole, che non siano dell'ordine della preghiera.
Resta solo una corrente di silenzio e queste poche che incoraggino i genitori - 
Francesca e Giovanni - a continuare a combattere la brutalità della violenza e 

delle azioni mafiose. D'accordo con don Ciotti, niente parole di circostanza. Occorre forse limitarsi a favorire l'esercizio di memoria e la testimonianza, proiettate al bene comune. Cercando di riequilibrare - per quanto possibile - la sottrazione di futuro dell'intera comunità.

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