Cento, o quasi

Chiedetemi quante volte sono andato a Roma negli ultimi 40 mesi. Risposta: mai. Chiedetemi quante cose ho proposto per la Calabria: cento. O quasi”

giovedì 5 luglio 2018

parole nude


Jacques Derrida, seminario di Cerisy del luglio 1997 su L’animale autobiografico.

Parole nude, per incominciare, annunciano fin dall’inizio che attraverso una riflessione sull’animalità si tratterà innanzitutto del nudo in filosofia (p. 35; 15). È di fronte all’animale, in effetti, allo sguardo della sua gatta, che – con una messa in scena solo apparentemente sartriana, in realtà post-heideggeriana, post-levinasiana, post-lacaniana – Derrida stesso scopre il disagio, il pudore, l’imbarazzo del sapersi nudo e trovarsi rispecchiato e osservato dalla nudità dell’altro, nudità che riteniamo strutturale e inconsapevole (e quindi propriamente neanche davvero tale), nell’atteggiamento pieno di vergogna di chi si sente come una bestia e perciò, sapendo di esser nudo, invece pudicamente si riveste: “L’animale sarebbe in situazione di non nudità in quanto nudo e l’uomo in situazione di nudità dal momento che non è più nudo. Ecco una differenza, un tempo o un contrattempo tra due nudità senza nudità” (p. 40; 20).
E se il punto di vista del gatto, dell’altro assoluto e totalmente altro che non solo mi guarda, ma che reclama forse anche qualcosa, fosse invece proprio quello da cui occorre partire per tematizzare, rivelandola finalmente, la sua e la mia paradossale nudità/non nudità, oltre che la bestialità soltanto mia?

A partire da Bentham e dalla sua sfida a chiedere non se gli animali pensino o parlino, ma se soffrano come noi – ovvero se possano non potere, se possano paradossalmente essere impotenti nella loro vulnerabile passività che condividono con la nostra finitezza e se perciò meritino compassione (cfr. p. 66; 49) – si snoda una riflessione che, da un’altra prospettiva sull’animale e sulla nudità sua e nostra, indaga in realtà una diversa genesi del pensiero: “L’animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui. E pensare comincia forse proprio da qui”.

Ma non dice in fondo ‘eccomi’, a suo modo, anche l’animale, indicandosi autodeitticamente in un: ‘sono qua’, ‘sono io’, quando obbedisce mansuetamente alla mia convocazione?

Oppure quando appare qui vicino un branco di rognosetti?


Eccomi, eccoci. 

§§§

Tenetevi stretti i vostri bambini, voi che trasudate odio.
Teneteli al sicuro nelle loro culle dorate, rimpinzandoli di cibo e carezze. 
Cantate loro le più belle nenie e, quando scende la notte, vegliate sul loro sonno, voi che non conoscete misericordia.
Insegnate loro l’amore e la pietà, voi che diffondete morte.
Io , che non sono padre, pregherò per i miei figli.
Io, che non sono padre, spererò ogni giorno che i loro piccoli piedi tocchino terra.
Mi inginocchierò innanzi al mare e chiederò clemenza alle sue onde. 
Io, che non sono padre, non mi stancherò mai di guardare l’orizzonte nell’attesa di abbracciare i miei figli

(segnalatomi da Monsignor Francesco Savino)